Negli ultimi due anni il fenomeno delle democrazie che si trasformano in qualcosa di irriconoscibile, ma con echi spaventosamente familiari, è stato aggravato dalla pandemia di covid-19 e dall’invasione russa dell’Ucraina, scrive Arundhati Roy:
Negli ultimi due anni il fenomeno delle democrazie che si trasformano in qualcosa di irriconoscibile, ma con echi spaventosamente familiari, è stato aggravato dalla pandemia di covid-19 e dall’invasione russa dell’Ucraina. E si è fatta più severa anche la sorveglianza sulla parola in modi allo stesso tempo vecchi e molto nuovi, al punto che l’aria stessa si è trasformata in una sorta di macchina punitiva per dare la caccia all’eresia.
Eravamo nel 2009. Cinque anni dopo, nel 2014, Modi fu eletto primo ministro. Nei nove anni successivi, l’India è diventata irriconoscibile. La “repubblica laica e socialista” voluta dalla costituzione quasi non esiste più. Le grandi lotte per la giustizia sociale e i movimenti ambientalisti, caparbi e lungimiranti, sono stati soffocati. Ora parliamo raramente di fiumi che muoiono, falde acquifere che si prosciugano, foreste che scompaiono o ghiacciai che si sciolgono.
In India il film è stato vietato. Twitter e YouTube hanno ricevuto l’ordine di rimuovere tutti i link che rimandavano a quel lavoro e hanno ubbidito immediatamente. Il 21 febbraio gli uffici della Bbc a New Delhi e Mumbai sono stati circondati dalla polizia e messi a soqquadro da funzionari della finanza. Lo stesso è successo agli uffici di Oxfam. E a quelli di Amnesty international. E a molte case e a uffici dei principali politici dell’opposizione.
La nostra nuova India è un’India di costume e spettacolo. Immaginate uno stadio di cricket ad Ahmedabad, nel Gujarat. Si chiama stadio Narendra Modi e ha 132mila posti. Nel gennaio 2020 era pieno zeppo per l’evento del Namaste Trump, in cui Modi si è congratulato con il presidente statunitense Donald Trump.
Per gli ucraini l’Ucraina è un paese. Per la Russia è una colonia, e per l’Europa occidentale e gli Stati Uniti è una frontiera . Ma per Modi è solo un altro palcoscenico su cui esibirsi. Questa volta per interpretare il ruolo di statista-costruttore di pace e offrire omelie del tipo “questo non è il tempo della guerra”. All’interno di quello che appare un culto, c’è una giurisdizione sofisticata. Ma non c’è uguaglianza davanti alla legge.
Questo è il combustibile che l’estrema destra usa per consolidarsi. Ma piegarsi, con timore e senza riserve, come fanno molti che si considerano progressisti e di sinistra, significa anche mancare di rispetto a questa trasformazione. Perché nella politica dell’identità troppo spesso c’è un perno importante, un cardine, che quando gira su se stesso comincia a rafforzare, oltre che riprodurre, proprio la cosa a cui vuole resistere.
Cosa fa tutto questo alla letteratura? Come autrice di narrativa, poche cose mi allarmano più della parola “appropriazione”, che è uno dei gridi di battaglia della nuova censura. In questo contesto, appropriazione – per dirla in modo grossolano – significa che dei predatori, perfino predatori contriti, cercano di scrivere, rappresentare o di fatto raccontare le storie delle prede a loro nome. È piuttosto squallido, e un principio utile da tenere a mente quando si critica qualcosa.
Se la letteratura sarà immobilizzata da questa ragnatela di migliaia di fili aggrovigliati, si trasformerà in una specie di manifesto rigido e plumbeo. E purtroppo, chi è entusiasticamente coinvolto nell’opera di controllo non sta semplicemente pietrificando gli altri, sta pietrificando anche se stesso. Sta seminando mine, e sa che finirà inevitabilmente per calpestarle. Nelle menti sospettose, diffidenti non può esserci danza.
Sappiamo ora, anche se molti non vogliono accettarlo, che il confine tra maschile e femminile è fluido e non quello che si dà per scontato che sia. Ma cosa dire del confine tra essere umano e macchina, tra arte e programmazione informatica, tra intelligenza artificiale e coscienza umana? Sono radicati come pensavamo che fossero?
Quando si tratta di letteratura, il mio timore non è tanto che i bot possano sostituire gli scrittori. Forse sono troppo vecchia e troppo vanitosa per questo. O forse, semplicemente, non considero la letteratura un “prodotto”. Il dolore, il piacere e la pura follia del processo sono l’unica ragione per cui scrivo.
Per “proteggere il mondo democratico”, l’Usaid progetta di portare Diia o un suo equivalente in altri stati. Paesi come Ecuador, Zambia, Repubblica Dominicana sono in prima fila. La domanda è se, una volta “riadattata” per la guerra, un’app come Diia può essere “dis-adattata” o “de-adattata” per la pace.
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