La tracotanza del ristoratore e la democrazia dello stecchino Viviamo in una società così confusa da aver sovvertito lo stato di chi serve rispetto a quello di chi è servito. Il cliente non ha sempre ragione, anzi | iurimariaprado
Fino a tutti gli anni ‘60 del secolo scorso non stava né in cielo né in terra che un ristoratore facesse il simpaticone con i clienti e li trattasse da pari, scambiando battute e facendo spallucce o magari sbuffando se quelli si lamentavano del piatto venuto male o della posata sporca.
Come mai ora, e appunto da qualche decennio, invece succede? È semplice: perché la plebe ha avuto accesso a una realtà, la ristorazione, che a essa era preclusa. Certo, nella bettola settecentesca umida di fiati il bifolco con il grugno affondato in una scodella di zuppa era pari all’oste che gliela serviva, e se qualcosa non andava per il verso giusto tutt’al più finiva con un conto pagato a metà o con una scazzottata, appunto, tra pari.
Brutto, per carità. Ma qui non discuto di cosa sia meglio. Provo a spiegare perché succede quel che succede. Non è una scoperta capitale, figurarsi, ma la spiegazione è quella. La maleducazione del cameriere, la tracotanza del “padrone del locale” e il fatto che l’una e l’altra sfuggano non si dice alle lamentazioni, ma addirittura alla cognizione del cliente, che di quelle mancanze non si avvede o di cui nemmeno apprezza l’intollerabilità, non dipendono in nessun modo da una sorta di imbrutimento della classe servente né ancora dalla liberalità della nuova classe di avventori.
Al contrario, e appunto, sono fenomeni di quel cambio sociale: la confusione che fa fungibile non più solo nella bettola, ma nel ristorante, lo stato di chi serve rispetto a quello di chi è servito. È la democrazia dello stecchino e della mano a paravento di rutto, bellezza.
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