La storia di Giulio Giaccio, ucciso dalla camorra per errore
Due imputati, accusati di aver ucciso quasi 23 anni fa un giovane di 26 anni scambiandolo per un’altra persona, hanno offerto come risarcimento alla sua famiglia assegni da 10mila euro ciascuno e alcuni immobili a Napoli per altri 120mila euro. Tra gli immobili offerti c’è anche un garage al centro di controversie con il comune per questioni di condono.
Fu così fino al 2015, quando le indagini furono riaperte dai pubblici ministeri Mariella Di Mauro e Giuseppe Visone. Tre collaboratori di giustizia del clan camorristico Polverino, Roberto Perrone, Giuseppe Simioli e Biagio Di Lanno, dissero che Giaccio era stato assassinato per uno scambio di persona. In particolare Perrone raccontò che era stato uno dei più fidati collaboratori del capo del clan, Giuseppe Polverino detto “o’ barone”, a uccidere Giaccio.
Il clan Polverino, nato negli anni Novanta come costola del potente clan Nuvoletta, ha la sua base operativa a Marano di Napoli ma è molto influente anche a Pozzuoli, Qualiano, Quarto e ha filiali criminali in Spagna e Marocco. Uno dei capi più influenti del clan era Salvatore Cammarota, uno dei due imputati per l’omicidio.
I collaboratori di giustizia hanno raccontato ai pubblici ministeri che Giaccio fu sequestrato e ucciso per colpa dell’errore del cosiddetto “specchiettista”, cioè la persona che doveva indicare ai due finti poliziotti chi fosse l’uomo da prelevare. Giaccio, in auto con i finti poliziotti, continuò a ripetere che c’era un errore: «Io non mi chiamo Salvatore, i miei genitori lavorano, siamo persone oneste».
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