La storia di una rivoluzione vinta, anche se persa La corrispondente nancyporsia racconta gli anni vissuti sull’altra sponda del Mediterraneo nel post-Gheddafi. Guerra, disperazione, mafia, portate alla luce
11 ottobre 2013, mezzogiorno. Il barcone, salpato la sera prima e finito poco dopo sotto il fuoco dei guardacoste, imbarca acqua a causa dei fori di proiettile. È a sessanta metri da Lampedusa, a bordo ci sono quattrocentottanta persone. Chiamate Malta, dice Roma dall’altro capo del telefono. Poco lontano c’è una nave militare italiana, la Libra, ma l’ordine è di non intervenire. Alle 17.07, dopo cinque ore di chiamate concitate, il barcone affonda.
Un manuale storico, giornalistico, geopolitico, ma soprattutto umano, in cui la reporter italiana, per anni unica corrispondente fissa nel Paese dopo la rivoluzione, racconta l’inesorabile discesa nel caos di una realtà politica e sociale che riguarda l’Italia, con cui condivide il Mar Mediterraneo, molto da vicino. Le speranze democratiche e le contraddizioni, l’affermarsi di una costellazione di poteri armati, la guerra civile, il dramma migratorio, le responsabilità europee.
Il primo passo ufficiale della spaccatura del fronte rivoluzionario è, nel 2013, la legge che prevede il divieto per dieci anni dell’ex figure senior del regime di Gheddafi da qualsiasi mandato governativo nella nuova Libia. Il contesto è quello di un confronto tra città-stato, nella fattispecie Zintan e Misurata: la prima con finanziatori Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Giordania ed Egitto, la seconda con alle spalle i Fratelli Musulmani, quindi la Turchia.
Leggendo la storia di Ahmed e Mohamed, «morti di politica» come scrivi nel libro, veniamo in contatto con il dramma delle partenze di migranti verso il Mediterraneo. Indichi nell’accordo tra Unione europea e Turchia il punto di non ritorno sulle politiche migratorie, proseguite con il memorandum Italia-Libia del 2017. Cosa pensi dell’Europa oggi?
Sicuramente quel giorno, seduta a quel tavolino, davanti a quel tè alla menta, ho tirato un sospiro di sollievo. Perché ero veramente terrorizzata. Però non riuscivo neanche a lasciare il Paese: non riuscivo a lasciare il mio presidio perché la Tunisia era in realtà una sorta di retrovia libica.
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