Il Giro d'Italia del 1962 di Olimpio Paolinelli: 'Ero un corridore ibrido. Me la cavavo dappertutto, eravamo tutti più forti di quelli che corrono oggi. Nati scalzi, cresciuti senza riscaldamento, temprati dalla guerra o dalla fame'. Di Marco Pastonesi
Leggendario anche come corridore, l’Olimpo-Olimpio: “La passione ereditata da mio padre, buon ciclista, campione italiano indipendenti. La prima bici fu quella di Antonio Poli, prima corridore e poi meccanico a Lucca. Saldava, montava, verniciava con il pennele lo. Avevo risparmiato 20 mila lire tagliando e vendendo legna d’inverno, la bici me ne costò 18 mila, me ne rimasero 2 mila.
Un anno e mezzo da professionista, l’Olimpo-Olimpio: “Prima con la Ignis, con cui feci anche un ritiro a Varese, poi subito con la Torpado, che mi offriva poco di più, ma sempre poco di meno di quello che guadagnavo al salumificio: 70 mila lire al mese per 10 mesi invece di 90 mila al mese per 12 mesi, ma stare in sella era meglio che stare dietro il bancone.
Ne avrebbe da raccontare, l’Olimpo-Olimpio: “Quella volta che, ancora dilettante, stabilii il record sul Ghisallo, meglio di Coppi. Quella volta che, da professionista, al Giro di Lombardia del 1961, dopo Ghisallo e Superghisallo, staccato per due forature, sulla salita di Sormano recuperai e staccai perfino Jacques Anquetil.
Paolinelli, 87 anni il prossimo 15 novembre, avrebbe poi avuto una seconda vita, forse una terza o quarta, nella corsa a piedi: “Su pista e in montagna, campestri e maratone, campione toscano e italiano, vincitore al Passatore e riserva ai Mondiali. Magari ve lo racconto la prossima volta”. Affare fatto.
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